Ricerca e terapie: numeri, avanzamenti e prospettive

Il punto con il pediatra Massimo Conte, vicepresidente dell’Associazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma

Genova, 4 giugno 2021 – Le possibilità di sopravvivenza al Neuroblastoma rappresentano un risultato “non ancora soddisfacente, ma incoraggiante”. Segno di passi in avanti compiuti su diversi piani: i “progressi in campo chirurgico e radioterapico”, l’impiego delle cellule staminali massimo conteper il trapianto di midollo, l’immunoterapia che “ha permesso un significativo balzo in avanti nella cura”, solo per restare agli esempi. Centrale in questo cammino è la ricerca, oggi mossa da due obiettivi principali: sviluppare “farmaci intelligenti in grado di colpire solo le cellule malate risparmiando quelle sane” e puntare alla medicina personalizzata che vuol dire “non un farmaco che vada bene per tutti”, ma farmaci su misura; finalità per cui si richiedono “ingenti finanziamenti” e attività di raccolta fondi. Tutti argomenti su cui si sofferma Massimo Conte, medico pediatra presso l’unità operativa complessa di oncologia pediatrica dell’istituto Gaslini di Genova, vicepresidente dell’Associazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma, coordinatore del Gruppo Italiano Neuroblastoma per l’AIEOP, Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica.

Quali sono le principali conquiste della ricerca per la qualità di vita e le possibilità di cura rispetto al Neuroblastoma?

“Attualmente la sopravvivenza complessiva a cinque anni dalla diagnosi è intorno al 70% per tutti i bambini affetti da Neuroblastoma; alla fine degli anni Ottanta non raggiungeva il 40%, perciò abbiamo guadagnato circa trenta punti percentuali. Se invece ci limitiamo ai bambini con Neuroblastoma metastatico all’esordio (che purtroppo sono la maggioranza), la sopravvivenza attuale è intorno al 45%, era il 20% negli anni Ottanta. In sintesi, un bambino su due con Neuroblastoma ad alto rischio oggi può guarire. Il risultato, come è naturale pensare, non è ancora soddisfacente, ma sicuramente incoraggiante. Ciò che ha permesso di migliorare la prognosi della malattia è stata la possibilità di conoscere più nel dettaglio i meccanismi biologici che sottendono al suo sviluppo, l’identificazione di istotipi (ovvero le cellule che compongono il Neuroblastoma hanno diversi gradi di differenziazione e malignità), a diverso comportamento clinico, l’identificazione di fasce di rischio sempre più precise, il miglioramento dell’assistenza e la riduzione laddove possibile del carico terapeutico con significativo risparmio in termini di tossicità e possibili gravi conseguenze per i bambini”.

Quali sono i cambiamenti in termini di trattamento terapeutico apportati grazie alla ricerca?

“I farmaci utilizzati per la cura del Neuroblastoma non sono molto cambiati negli ultimi vent’anni, ma abbiamo imparato sicuramente ad usarli meglio intensificando le dosi e le tempistiche di erogazione nei soggetti ad alto rischio, utilizzando le cellule staminali autologhe come rescue dopo la terapia trapiantologica, somministrando fattori di crescita leucocitaria (ovvero farmaci in grado di far crescere rapidamente i globuli bianchi), per limitare la tossicità dei chemioterapici. In più: negli ultimi quindici anni l’ingresso in clinica dell’immunoterapia con l’anticorpo monoclonale anti GD2 specifico per questo tumore ha sicuramente permesso di fare un significativo balzo in avanti nella cura”.

Torniamo alla terapia basata sul trapianto. Quale funzione svolgono le cellule staminali?

“Oggi possiamo utilizzare alte dosi di farmaci particolari per la fase del trapianto solo se prima abbiamo raccolto nel bambino le sue cellule staminali che verranno infuse a 72 ore dal termine della chemioterapia trapiantologica. Solo in questo modo potremo pensare di distruggere eventuali cellule neoplastiche residue nel midollo e garantire al bambino un recupero ematologico che non sarebbe possibile senza cellule staminali: è quello che oggi si definisce trapianto di midollo con cellule staminali autologhe”.

Individuare con precocità la presenza residua di cellule tumorali nel midollo è importante per correggere il prima possibile i trattamenti terapeutici. Qual è lo stato delle cose?

“Lo studio isto-bio-molecolare della malattia midollare (il vero problema nella cura del neuroblastoma) permette di monitorare la risposta durante la terapia ed identificare precocemente soggetti scarsamente responsivi da avviare a protocolli terapeutici più intensi. Per poter escludere ragionevolmente la presenza di malattia midollare è necessario eseguire un’analisi combinata utilizzando sia l’esame dello striscio di sangue midollare (una goccia di sangue strisciata su vetrino e vista al microscopio) che l’esame istologico della biopsia ossea. Tecniche più sofisticate consentono inoltre grazie a marcatori fluorescenti che si attaccano alla cellula malata di rilevare una cellula neoplastica tra centinaia di migliaia di cellule normali”.

Gli obiettivi principali della ricerca nel breve, medio e lungo periodo.

“La ricerca oggi ha come obiettivo principale quello di studiare e proporre nuovi farmaci i cui targets siano rappresentati da mutazioni specifiche presenti nelle cellule tumorali, quindi non più i vecchi chemioterapici che hanno ormai esaurito il loro potenziale ma farmaci intelligenti in grado di colpire solo le cellule malate risparmiando quelle sane con l’obiettivo di migliorare la possibilità di guarigione e ridurre gli effetti collaterali a breve e lungo termine. Oggi si parla sempre più di medicina personalizzata, ovvero non un farmaco che vada bene per tutti i tumori ma a ciascun tumore il suo farmaco. Per fare questo è necessario poter usufruire di tecnologie avanzate in grado di studiare rapidamente il genoma tumorale, di laboratori di eccellenza, di ricercatori dedicati e non ultimo di ingenti finanziamenti”.

Il ruolo dell’associazionismo e in particolare di questa associazione nell’ambito di tale percorso di impegno e di traguardi ottenuti e sperati.

“Il ruolo delle charities in campo pediatrico è fondamentale per supportare la ricerca su patologie estremamente rare che incidono in particolari fasce d’età e peraltro con poche migliaia di casi. In Italia si ammalano di tumore circa 2.000 bambini all’anno: un numero molto piccolo se confrontato ai numeri dei big killers dell’adulto come il carcinoma del polmone, dell’intestino o il cancro della mammella. È ragionevole quindi che le grandi compagnie farmaceutiche concentrino i loro sforzi e capitali su malattie di elevato impatto sociale a scapito di altre, vedi quelle pediatriche; ed allora è proprio qui che il privato diventa importante. Dalla sua nascita l’Associazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma ha fatto della ricerca su questa malattia la sua mission destinando ingenti somme di danaro per finanziare progetti di ricerca, laboratori, protocolli terapeutici, professionisti nel campo della biologia-istologia-epidemiologia-clinica, eccetera. Grazie a questa attività quotidiana, meticolosa e sempre trasparente è stato possibile raggiungere grandi risultati in tempi ragionevolmente ristretti: cosa assolutamente impossibile se avessimo dovuto contare solo sugli aiuti provenienti dai canali istituzionali”.
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A cura di Francesco Ciampa, ufficio stampa; telefono cellulare: 338-9988070